lunedì 3 ottobre 2016 0 commenti

Giovanni

                                   Giovanni

                    

Lui non parlava con noi tantissimo, solo quando poteva o quando gli veniva l'ispirazione.
Non è che si comportasse così per qualche motivo particolare; solo che quello era il suo carattere; a volte sfrontato, diretto, a volte incartato in quel pudore figlio di una antica timidezza.
Ma non differiva tanto dagli altri uomini del suo tempo.
Sputato fuori da una guerra, viveva in quella obliquità delle persone che si ritrovano vive e quasi se ne vergognano; quasi a scusarsi con chi non ce l’ha fatta.
L'allegria era il quotidiano; il dolore la sua memoria recente.
Aveva da fare, da lavorare sodo per portare avanti la famiglia, e a quei tempi non era facile.
Nemmeno oggi è facile, ma allora la parola sacrificio aveva un peso specifico importante, positivo.
La bellezza del sacrificio.
Era “il boom“ o così ci hanno raccontato, ma era “boom“ anche dentro l'anima della gente.
Credo fosse molto stanco ma anche molto fiero delle sue fatiche. 
Solo facendo così si sentiva dalla “ right side“.
Io non ho mai scovato tutti i suoi difetti, non avevo strumenti per farlo, ma sicuramente ne aveva, piccoli e grandi.
I suoi pregi oggi so riconoscerli tutti, allora non sapevo nemmeno che esistessero dentro una persona.
Una persona era quella che vedevi davanti a te, e finiva lì dove finivano i suoi piedi e la capoccia.
E lui era lì, un monolite; un'entità; un punto di appoggio quasi solo fisico per noi. 
O solo quello vedevi dal basso.
Dialogo poco.
Erano i tempi in cui le gerarchie erano assolute a torto o a ragione, ma era così. 
Bianco o nero.
Oggi si vive quasi esclusivamente nelle mezze acque, nei toni sfumati.
E si sa che quando non c'è un termine di paragone, un'alternativa, prendi le cose che hai, che vengono, e le dai per certe, per scontate. 
E ti adegui a quella forma mentale.
Senza tanti fronzoli.
Io mi adeguavo e avevo delle certezze.
E guardavo, guardavo, avendo poche occasioni per ascoltare “i grandi“.
Guardavo in silenzio e mettevo inconsciamente da parte quello che riuscivo a vedere nel fondo della mia memoria, nel mio hard disk di carne.
A decantare senza rendermene conto.
Mai e poi mai avrei pensato che quelle guardate coi calzoni corti mi avrebbero accompagnato nei miei giorni.
Per sempre.
Lui  non parlava con noi tantissimo, ma quelle poche volte che lo faceva  aveva le mani in tasca e ti guardava dritto negli occhi.
E parlare con le mani in tasca era molto più efficace dal punto di vista educativo che parlarti col bastone in mano. 
Ma noi non lo sapevamo. 
E nemmeno lui lo sapeva.
Andava ad orecchio, non leggeva la musica.
Le mani in tasca non erano un ordine, erano un suggerimento, un indicarti la strada da uomo nudo, volutamente disarmato; semplicemente.
Ti comunicava quelle quattro regole basilari o quelle quattro stronzate che ti sarebbero poi servite per camminare sempre al centro della carreggiata, deciso, quasi arrogante forse, ma con poche possibilità di deragliare.
Perché “... l'omo dev'esse omo...“ diceva.
E con le mani in tasca aggiungo io.
Grazie papà.
Ciao.


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