martedì 2 ottobre 2012

Ottobre, via salaria, roma, giorno feriale

BULBI PILIFERI

Testa di neve, il lungo crinito e il precalvo si trovarono casualmente in ascensore in compagnia di un "come va?" un "non c'è male" e un "mah!". Ad attenderli fuori tre scatole di lamiera, ma nessuno era fermamente deciso ad imboccare subito la via di casa.
Forse avevano voglia di fare due (o tre) chiacchiere, ma non avevano il coraggio di proporselo, cosicché sempre casualmente si disposero a triangolo equilatero per l'ultima sigaretta prima del rientro. Che orrore quel caseggiato grigio-ghisa dal quale erano usciti, e che malinconia metteva addosso a guardarlo da fuori. Quella nebbiolina poi si faceva sempre più adulta, e in compagnia di quei lampioni sovietici ci metteva il carico nel rendere il quadro surreale.
E la fabbrica di note grigio-ghisa vigilava sulle loro bocche che cacciavano fumo e parole. Fumo di tabacco e umidità e parole lisce, conformi, nostalgiche o incazzate.
Testa di neve era il più integrato, modellato a una vita che si era adeguata alla circonferenza del suo addome. Tempo addietro anche lui aveva percorso strade di ricerca, di possibilità alternativa di vita e di musica. Poi senza accorgersene si era arreso. Il lungo crinito testimoniava appieno il tempo della sua gioventù, ma era un po' fuori, era mentalmente in levare rispetto al battere della quotidianità. Un misto di ieri oggi e domani, di spinelli che si mischiavano ad internet; code di cavallo al computer, orecchini e scarpe da tennis al cellulare. Ma era un buon uomo e viveva da protagonista nel mondo telematico. L'unica stonatura era la coda di cavallo. Che ci stava a fare? Non aveva più ragione di esistere.
Il precalvo era l'unico smanioso vero, ma anche il più disadattato a una vita che voleva deformare a suo piacimento. Forse con un po' di presunzione, ma sicuramente in buona fede; ancora non aveva mollato, non aveva alzato bandiera bianca, e proprio per questo qualcuno aveva mollato lui.
Ma stava lì ostinato, lato anarchico di quel triangolo apparentemente omogeneo.
Tutti e tre facevano temporaneamente parte della fabbrica di note grigio-ghisa. Ma non erano le loro note, quelle che chi più chi meno avrebbe voluto suonare. Erano note altrui, note già scritte senza entusiasmo, senza vigore, note false che però per una questione di bollette e di pranzecena dovevano suonare lo stesso.
Dopo aver allontanato senza garbo le rispettive sigarette, si rinfilarono nelle loro cuffie in direzione delle scatole di lamiera cercando in quella nebbia ormai anziana, una luce, un po' di musica da suonare col sangue caldo. E andarono.
Tra tergicristalli fuori tempo e senza cinture di sicurezza in direzione di un sogno.

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