lunedì 26 settembre 2016

Il caffè

                                                         Il caffè

                                      

S’era assopita.
Nel tempo di uscire a fumare l’ennesima sigaretta.
Così la guardavo mentre dormiva come l’avevo guardata mille altre volte. 
Ma stavolta era diverso.
Come se guardandola intensamente avessi voluto stamparmi nella mente quel volto per far sì che gli anni a venire non lo cancellassero.
Quanto poteva ancora vivere non ce lo avevano detto con certezza nemmeno i medici.
Un mese, sei mesi forse anche due anni a patto che quello strano cancro non perfettamente localizzato avesse incalzato lentamente.
Era tutto delegato al caso o a Dio per i credenti.
Però pensavo che almeno dormendo soffriva di meno, chissà poi perché.

Quel giorno era più o meno metà Agosto, nei pressi del mio compleanno; un assolatissimo pomeriggio estivo romano di quelli che non fanno rima con ospedale, ma con mare, collina, montagne, passeggiate, pennichelle.
Come sempre ero andato a farle visita scambiando gli orari con mio fratello che faceva altrettanto.
Facevamo i turni come si dice in questi casi, cercando di non lasciarla mai sola; mio fratello, io, nipoti, nuore, parenti più o meno stretti e tutte le persone che avevano affollato la sua vita bella.
Anche degli affiliati.

E forse per cercare di tirarla sù o forse per tirarmi sù io, avevo fatto un po’ il giullare, il buffoncello come spesso accadeva, per sdrammatizzare, alleggerire, per farla ridere un po’, rammentando cose dell’infanzia, parlando di situazioni o persone che lei conosceva; a volte condivo abbondantemente storie assurde e grottesche ma accadute realmente per strappargli un sorriso, un cenno d’interesse e quando ci riuscivo mi sentivo bene.
Come se quello fosse un compito a me prescritto da chissà chi.
Stavo lì seduto su una sedia a sorvegliare che il respiro fosse più o meno regolare quando improvvisamente spalancò gli occhi come chi fino ad allora ha fatto finta di dormire e disse:
‘’ ...ma io non lo posso prendere il caffè vero?’’
‘’ No ma’, hanno detto che è meglio evitare.’’
Non rispose ma il suo silenzio e il suo girare la testa dall’altra parte somigliava ad una una supplica muta.
‘’ Sai che faccio? Io vado giù al bar e te lo prendo lo stesso, bello denso e tanto come piace a te. Affanculo i medici, per oggi li freghiamo… Non ha mai ammazzato nessuno un caffè..’’
Sorrise contenta che avevo fatto mio il suo pensiero e annuì.
‘’ Ma sì, io mi sento bene che male mi farà mai un caffè?’’
E fece un sorriso complice largo quanto la stanza.
‘’ Niente, anzi secondo me ti fa pure bene.’’
Ed ero pienamente convinto di questo.
Ma mentre stavo per andare mi richiamò e, come quando da piccolo mi mandava a fare al spesa e poi dalla finestra mi urlava quello che si era dimenticata, stavolta a bassa voce disse quasi fosse un’aggravante al reato:
‘’ Ah guarda, visto che ci sei pure due bustine di zucchero’’.

Lei lo prendeva quasi sempre amaro.

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