sabato 8 settembre 2012

O piramide, o imbuto

A volte le persone senza un preciso motivo cambiano abitudini e quasi imponendosi una brusca sterzata, sperano, si augurano.
Questo era accaduto alla signora De Rossi, che da quando abitava lì non aveva mai osato un soffritto.
Per cucinare spaghetti al pomodoro faceva bollire l'ottima salsa che le spediva una cugina da Avezzano, aggiungendo solo una foglia di basilico e una cipolla intera infilzata da uno stuzzicadenti affinchè desse sapore al tutto, ma non inquinasse l’omogeneo aspetto della salsa.
Il marito professore di matematica, aveva sempre sofferto di tutto, così la famiglia intera per solidarietà, si negava i piccoli piaceri della tavola. Ma oggi no; chissà perché pensava Giuseppe. A giudicare dall'avanzare di quell'odore acre era sicuro che l'aglio aveva sforato almeno di un minuto la doratura.
Niente a che vedere con gli Esposito quelli di fronte.
Gente di pastiera, di ragù-hard, gente dagli umori forti, numerosa, estroversa. Facevano amicizia con tutti ed avevano un solo nemico dichiarato: la bilancia.
Insieme a queste considerazioni Giuseppe saliva i gradini di quel palazzo che frequentava quotidianamente.
Erano molti anni che riforniva gli inquilini di cartoline, bollette, telegrammi ed inevitabilmente sapeva quasi tutto di loro; spesso si divertiva a riconoscere i loro stati d'animo dagli odori mattutini e da come incontrandolo, lo salutavano.
Oggi gli toccava portare una raccomandata a quella ragazza bionda, quella nuova, che purtroppo per lui aveva affittato l'attico.
Era un palazzo di inizio secolo, quando mettevano ancora le finestre nel bagno, ed era dotato di una tromba delle scale talmente ampia, che se l'avessero costruito oggi, ne avrebbero sicuramente ricavato un appartamento in più per ogni piano.
A guardarlo dal primo, l'attico era un puntino nero, una meta per Giuseppe. Buongiorno famiglia Bortolon! Oggi tocca al fegato alla veneziana. Loro le abitudini non le avevano mai perse ed erano amplificate dal fatto che il Pollini (ingegnere al catasto) viveva solo e non cucinava mai. Forse il caffè la mattina, così i Bortolon olfattivamente erano padroni del pianerottolo.
Non gli era mai capitato di salire all'ultimo piano; al massimo si era spinto fino ai Cornacchini, quelli che avevano la figlia attrice di prosa che aveva cambiato il cognome per esigenze artistiche.
Ah, ecco, i Mastrangeli, li riconosco dalle zaffate d'ammoniaca; è per via del cane. Povera bestia che umiliazione, oltre che vivere in un condominio deve sorbirsi pure il maniacale igienismo della signora. Ogni giorno inonda la casa di disinfettante per colpa dei peli del cane, dice lei. E' un po' come se uno dopo aver baciato un familiare corresse subito a lavarsi i denti. Un gesto quantomeno indelicato.
In presenza del cane.
E' per questo che Ramon passava tutto il giorno sul balcone ad abbaiare a tutto e a tutti. Da sempre lancia disperati S.O.S. al mondo, ma il mondo corre, va di fretta.
Giuseppe no.
Non poteva andare come va il mondo, anzi ogni tanto doveva fermarsi a riprendere fiato.
In una di queste soste, appoggiato al muro con davanti l'ennesima rampa, si accorse con incredulità che i gradini non erano più tutti uguali. Alcuni erano più consumati, altri bassi ed infidi; altri ancora talmente irti che per superarli ci si doveva quasi arrampicare sù.
E più Giuseppe saliva, più gli odori diluivano; più andava sù e più la luce si faceva forte. S'accorse specchiandosi in una porta, che stava invecchiando in maniera inversamente proporzionale agli odori. Più loro sparivano e più a lui aumentavano gli anni.
Ma la sua caparbietà era proverbiale tra i colleghi: in tutta la sua carriera mai un errore, un ritardo, una sbavatura e adesso la consegna della raccomandata alla nuova inquilina di quell'attico sconosciuto, era diventata una sfida. Tra lui e il tempo.
Aveva superato i Cornacchini da un paio di piani quando scoprì che anche l'intonacatura dei muri era diversa; lucida, da studio dentistico, senza un graffio alle pareti, una striatura, nessun segno di vita vissuta. Le porte erano tutte superblindate, misteriose, e i campanelli di un finissimo ottone quasi oro, sotto non recavano più i cognomi come ai primi piani, ma solo delle sigle composte da lettere e numeri incise accuratamente.
E più andava avanti, più le soste si facevano frequenti data la rarefazione dell'aria.
Non mancava molto, ma non era più tanto sicuro di farcela. Aveva la sensazione che la consegna della raccomandata coincidesse col capolinea della sua vita.
Così proseguiva a ritmo lentissimo, non si sa se per la paura o per la stanchezza.
Stremato con gli occhi deboli e le gambe ancora di più, era ormai ad un piano di distanza dall'attico, quando una di quelle porte si aprì elettronicamente e ne uscì un uomo elegantissimo dal portamento blasonato che sembrava appartenere ad un’ altra epoca. Gli mancava solo il monocolo.
L'uomo guardò Giuseppe di striscio e infilandosi i guanti chiese con voce ferma: " Siete voi il portalettere ? " Giuseppe era talmente sfinito e sorpreso che non ebbe nemmeno la forza di rispondere un sì qualsiasi, un cenno con la testa.
L'uomo elegante decise che comunque lo era, e mentre lo superava come se gli passasse attraverso, scendendo i primi gradini disse con un distacco quasi cattivo volgedo impercettibilmente la testa ma guardando altrove: " Se siete qui per quella raccomandata, la signorina del piano di sopra vi prega di lasciarla alla portiera."
Poi i tacchi eleganti furono solo un' eco ribattuto.
Giuseppe si appoggiò alla ringhiera e guardò giù di sotto.
Da quella altezza affacciarsi dalla tromba delle scale, era come affacciarsi da un enorme imbuto, e il puntino nero laggiù in fondo per lui non poteva essere più una meta.
Chissà se il soffritto della signora De Rossi, s'era bruciato, o se la famiglia Esposito complessivamente s'era dimagrita. Chissà.
Questi ormai, erano solo ricordi di gioventù.

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